“Le Parole delle Pietre” – racconti horror e neogotici
venerdì, 03 maggio 2019
Argomenti
Nel corso dell’anno scolastico 2018/2019, un nutrito gruppo di ragazzi del primo anno della secondaria di primo grado ha aderito a un progetto di lavoro molto ambizioso, Le Parole delle Pietre.
Questo consisteva in un percorso didattico molteplice e articolato, in cui gli alunni erano invitati, per così dire, a adottare un monumento emblematico del proprio territorio: nell’anno del bicentenario di nascita dell’altrettanto emblematico Giovanni Battista Schellino, la facciata del cimitero comunale è stata quasi una scelta d’obbligo. Recentemente restaurata, è un’opera dalle grandissime suggestioni: l’approfondimento dell’arte neogotica, infatti, ha permesso di conoscerne meglio la cultura, trovando anche la bellezza nel macabro e nell’inusuale, imparando a interfacciarsi con autori come la scrittrice Mary Shelley – l’autrice di Frankenstein – o il regista Tim Burton – il visionario inventore di Edward Mani di Forbice. Tutto ciò, fra le varie attività orchestrate, ha portato alla produzione di piccoli racconti horror e d’ispirazione neogotica: ecco, dunque, i risultati più pregevoli. Tutti sono, in un’ottica di rivalutazione locale, di ambientazione doglianese. Assolutamente da leggersi a lume di candela, in una notte buia e tempestosa!
Gli insegnanti referenti del progetto
L’infermiera perseguitata a morte
Alice, una ragazza di trentatré anni, dopo anni di studi, aveva finalmente iniziato a lavorare come infermiera.
Era bravissima: quasi tutti i pazienti la adoravano, non metteva mai da parte nessuno. Lei lavorava in un piccolo ospedale non molto conosciuto. Si impegnava davvero tanto ma era molto stanca e, dopo il lavoro, le venivano svenimenti improvvisi e perdite di memoria. Stava veramente male. Ma voleva continuare a tutti i costi, non solo perché doveva pagare l’affitto del suo appartamento, ma anche perché si era impegnata così tanto che le sarebbe dispiaciuto molto mollare tutto. Le sue colleghe di lavoro erano gentili e la aiutavano nei momenti difficili.
Alice voleva bene a tutti i pazienti, in particolare ad un anziano signore di nome Beppe; lui aveva perso la moglie a causa di un cancro. Era gentile, bravo, affettuoso con lei; stava molto male e Alice faceva di tutto per farlo sentire meglio.
Un giorno, quando Alice era a casa, aveva ricevuto una telefonata da parte di una collega che le aveva detto: «Ciao, sono Samanta, volevo dirti che oggi… be’… Beppe è morto per un problema di respirazione. Come sai, soffriva di enfisema polmonare… Mi dispiace. Ciao».
Quando Alice aveva sentito questo, era tristissima, anche perché credeva fosse stata colpa sua.
Il giorno dopo era tornata al lavoro, ma non era più la stessa: non portava più felicità, ma tristezza.
Una sera, mentre stava preparando le medicine per il giorno dopo, le era sembrato di vedere qualcuno che la seguiva. Spaventata, era entrata nel bagno e, spiando dalla serratura della porta, aveva visto un paziente e si era tranquillizzata. Guardando attentamente quella figura nel buio, aveva capito che si trattava di Beppe, l’anziano morto quattro giorni prima.
Era notte fonda. Non sapeva cosa fare; era in preda al panico e aveva visto che da sotto la porta del bagno stava entrando del sangue e, guardando dalla fessura, aveva visto Beppe scomparire in un portale che, secondo lei, era l’ingresso per il Regno dei Morti. Dopo essere rimasta chiusa un po’ di tempo in bagno, decise di uscire e ritornò a casa in preda al panico.
Quella notte non chiuse occhio.
Il giorno dopo, ritornata al lavoro, aveva raccontato alle altre infermiere quello che le era successo. Loro non le avevano creduto perché sapevano che inventava cose interessanti ma false per incuriosire gli altri: questa era veramente assurda.
Alice aveva passato la sua giornata normalmente. Si era fatta forza ed era andata dalla caposala a raccontare l’accaduto. La caposala, di fronte al suo assurdo resoconto, non le aveva creduto e le aveva fatto fare la notte ugualmente.
Beppe si presentò anche quella notte: era pieno di sangue, aveva un occhio solo, fluttuava velocemente verso di lei. Poi era scomparso. Alice sentiva qualcuno bisbigliare nel suo orecchio: quella voce diceva «Soldi, soldi, soldi…». Alice aveva capito perché Beppe la perseguitava. Lui le aveva dato dei soldi che lei avrebbe dovuto dare a suo figlio, ma che invece aveva usato per pagare i suoi debiti. Lei non poteva ridargli il denaro, perché era una cifra troppo alta.
Beppe aveva continuato a perseguitarla: lui le rompeva i vasi, i bicchieri, gli scaffali, le spostava i mobili…
Non ce la faceva più e, un giorno, dalla disperazione, in preda alla pazzia, si uccise a coltellate.
Beppe era tornato e aveva visto il suo corpo a terra dissanguato.
Denise D. – I A
Le signore assassine
Nel 1906, nel paese di Dogliani, in Borgata Pianezzo, una signora stava appendendo dei manifesti per una festa che si sarebbe svolta la settimana seguente. Era talmente magra che le si vedevano le ossa: faceva paura. Aveva delle collane e degli orecchini di color rosso acceso. Indossava sempre vestiti lunghi di colori scuri e portava sempre con sé un coltellino, che già in tanti avevano notato. Tutti erano così impressionati dalla sua presenza che, quando passava, si chiudevano in casa. Si chiamava Alessia e aveva affittato una sala per questo evento: si trattava di una festa in maschera in occasione del suo compleanno. Per accedere alla sala, c’era una porta in legno con un batacchio d’oro; aperta la porta, si accedeva ad una scalinata con un corrimano di legno rivestito in oro; dopo c’erano tre porte, ognuna aveva un colore diverso, la prima era rosso sangue, la seconda nera e l’ultima grigia. Se si entrava dalla porta rossa si vedeva una cucina, in quella grigia una sala da ballo, proprio quella che aveva affittato Alessia, e in quella nera c’era un salotto. Alessia aveva un’unica amica di nome Beatrice; anche lei portava sempre con sé un coltellino.
Un giorno, degli uomini che abitavano vicino a queste due signore investigarono per ricevere qualche indicazione su di loro. Questi appartenevano alla famiglia Devalle e, cercando su un vecchio almanacco di polizia con i nomi dei ricercati, avevano trovato delle notizie su due signore: supponevano che fossero Beatrice e Alessia. Cercarono delle foto, ma non c’erano. Sul libro c’era scritto che queste erano ricercate per aver ucciso un’intera famiglia.
I Devalle, dopo aver letto quell’articolo, si spaventarono tantissimo, ma andarono alla festa di Alessia, alla quale era anche invitata Beatrice. Arrivati alla festa, andarono a salutarle, dopodiché i Devalle si scostarono e avanzarono verso il salotto. Dopo la festa, i Devalle seguirono le due signore per vedere dopo sarebbero andate e videro che tiravano fuori il coltellino, ma non capivano, perché erano in un semplice orto. Poi videro che tagliavano verdure di diverso tipo; da lì forse capirono la loro identità: erano semplici signore che volevano una cenetta a base di verdure.
Per essere sicuri, le seguirono ancora; le signore stavano andando alla cucina della mensa dell’asilo e, ancora meglio, capirono che erano delle vere e proprie semplicissime cuoche.
Però su quell’articolo, rileggendo con grande attenzione, fecero un’incredibile scoperta: le due signore erano morte già da tempo.
Erica B. – I B
***
La nonna di Silvio
In una vecchia casa davanti al cimitero di Dogliani, vivevano una signora anziana e il nipote di nome Silvio, il quale non aveva avuto un’infanzia felice perché la sua mamma era morta durante il parto del figlio; i nonni da parte del padre erano mancati entrambi in un incidente stradale e il nonno materno era stato accidentalmente ucciso durante una battuta di caccia dal padre di Silvio che, non riuscendo a perdonarsi il gesto, si era suicidato qualche giorno dopo.
La nonna e il nipote vivevano in una casa molto grande: le pareti erano di legno tarlato, il pavimento scricchiolava sotto i piedi, in soffitta si sentivano i topi che rosicchiavano le travi del tetto. Il giardino era pieno di sterpaglie, erbacce, alberi non potati e arbusti incolti.
Alla nonna di Silvio, unica parente rimasta, era cresciuto col tempo il rancore per quanto accaduto al marito; in silenzio covava la sua vendetta, la quale sarebbe ricaduta sul nipote, nonostante fosse senza colpa.
La nonna convinse Silvio ad uscire con gli amici nel boschetto davanti al cimitero perché era molto bello; Silvio accettò e portò con lui anche gli amici. Ma c’era un inganno: infatti la nonna ben sapeva che in quel bosco viveva un branco di lupi famelici, con il pelo nero e gli occhi gialli, i quali avevano divorato una gamba alla nonna quando era giovane.
I ragazzi si avventurarono nel bosco. Era notte e fin da subito rimasero stupiti dalla grandezza degli alberi e dal silenzio che regnava intorno a loro e non si resero conto che qualcuno li stava seguendo. Quando se ne accorsero era ormai troppo tardi, infatti i lupi famelici saltarono loro addosso e, in un batter d’occhio, cominciarono a volare di qua e di là fegati, intestini, cervelli, polmoni, cuori e tanto, tanto sangue.
Le teste rotolarono fino al cimitero e le guglie dello Schellino furono l’ultima cosa che i ragazzi videro prima di essere completamente sbranati.
La nonna, non vedendo più tornare Silvio, si sedette sulla grande panchina di Dogliani Castello e finalmente si mise il cuore in pace.
Federico P. – I C