Un "Decameron 2.0" per ricreare il mondo in tempi di pandemia

Una serie di "novelle 2.0" per ripartire a vivere e non perdere la speranza

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lunedì, 30 marzo 2020

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La II A come Giovanni Boccaccio

In pandemici tempi di didattica a distanza, spesso la confusione generata da condizioni in cui tutto - anche la scuola - si deve rimettere in discussione, a molti è venuto in mente il parallelismo con la peste nera trecentesca del "Decameron" di Giovanni Boccaccio. La II A della secondaria di primo grado di Dogliani, affrontando, a livello di studio, questo argomento, ha voluto dare il proprio contributo: non solo dedicandosi allo studio e alla lettura di alcune novelle del noto autore toscano, ma anche rielaborando scrittura e contesto, plasmandolo secondo la contemporaneità.

"In principio era il Verbo", dice il noto incipit del Vangelo di Giovanni: nella nostra cultura è insito il concetto di parola creatrice. Allo stesso modo, i volenterosi alunni della classe hanno voluto ricostruire il mondo con nuove parole e nuove novelle, proprio come, qualche secolo fa, fece Giovanni Boccaccio col suo "Decameron".

Ecco i risultati più interessanti: vita, speranza, parola, ma anche humour e goliardia, con gli occhi e la scrittura di una "onesta brigata" di dodicenni, pronti a affrontare il futuro.

Prof. M. Somà

 

Gigi e Piero (di V. Rolfo)

Gigi e Piero sono amici da quando sono piccoli. Ogni pomeriggio, dopo la scuola, si incontrano nel cortile sotto casa a giocare a pallone.

Purtroppo, ora, a causa del coronavirus, si danno appuntamento sui balconi delle loro case.

Gigi dice all' amico : “Guarda! La signora Pina sta passeggiando con Lapo al guinzaglio!”

Piero risponde: "Sì, è proprio Pina con il cane Lapo! Questa mattina, Lapo era a passeggio con l’estetista del quarto piano!”

“ Ma… Lapo, non è il cane del calzolaio? Ma, cosa fanno con il suo cane? Lo stanno affittando per le passeggiate?!”

“Non lo so! Ieri sera, mentre mangiavo il polpettone di verdure della mamma, al telegiornale hanno detto che può andare solo una persona per famiglia a fare la spesa: invece, guarda davanti al macellaio! In fila ci sono Laura, la nonna e la mamma.”

"C'è anche la parrucchiera che ieri mattina è andata in posta e poi l’ho vista entrare dal panettiere.”

“Gigi, andiamo anche noi fuori a giocare al campetto vicino all’oratorio: ricordati di portare il pallone!”

"La mia mamma ha detto che non si può uscire, ma a me sembra che i grandi facciano come vogliono loro. Solo a noi ci dicono di ubbidire sempre!”

In quel momento interviene nonno Giuliano dicendo: "Ragazzi! Avete ragione, non dovete prendere esempio da chi sbaglia! Siete stati bravi a capire gli errori delle altre persone, quindi voi restate a casa per il bene vostro e di tutti!”

***

Non si può fare lo sgambetto a una nazione che porta il tacco! (di M. Cerri)

Vi voglio raccontare del 2020, un anno iniziato nel più pazzo dei modi.

Ebbene sì: la gente viaggiava con la mascherina, con uno sguardo diffidente gli uni verso gli altri, attenti a non avvicinarsi a meno di un metro dai propri simili; vennero presi d’assalto i supermercati, i disinfettanti divennero oro e il programma più diffuso alla TV era il tutorial su come lavarsi le mani.

La nostra bellissima Italia stava lì, senza che nessuno la ammirasse più. I monumenti lasciavano che il vento li accarezzasse, il mare ondeggiava ugualmente senza un pubblico e le montagne dall’alto guardavano la desolazione delle strade, e le persone chiuse in casa attraverso le finestre.

Ma perché succedeva questo?

Perché con l’arrivo della primavera bambini e genitori preferivano stare in casa piuttosto che sentire quella leggera brezza, il primo sole e le giornate allungarsi? 

Si mormorava che nel mondo fosse arrivata una presenza maligna, gli esperti pensavano addirittura fosse la personificazione del male. Essa decideva quando presentarsi ed infettava il povero malcapitato con un semplice sgambetto.

Un modo bizzarro di infettare le persone, non trovate!?

Un modo bizzarro tanto quanto veloce ed efficace: così gli ammalati, in un breve lasso di tempo, divennero tantissimi in tutto il mondo, lasciando agli eroi soltanto il tempo di fare i conti con la potenza di quell’entità così malvagia ed invisibile.

I valorosi guerrieri lavoravano giorno e notte senza sosta per riuscire a intrappolare e sconfiggere quell’essere così astuto, mentre alle famiglie era stato chiesto di proteggersi dentro le proprie abitazioni dove il male non poteva entrare.

Sembrava questa infatti l’unica debolezza di quella spietata forma: poteva essere ovunque ma non poteva entrare direttamente nelle abitazioni.

Allora le strade si svuotarono, si fermarono le fabbriche e i negozi, si spensero le luci delle città e si riscoprì il gusto di stare insieme.

Si capì il valore delle semplici cose della routine quotidiana e il prezzo inestimabile della libertà. Mentre l’Italia stava lì senza spettatori, ma con tanti tifosi ad acclamarla, come si incitavano gli eroi a sconfiggere quel maligno intruso.

Volete sapere come finisce questa novella?

Beh, dovete aspettare ancora un po', perché siamo nel bel mezzo della sfida ed io non sono uno di quei valorosi guerrieri che combattono ma faccio il tifo per loro come tifo per la mia squadra del cuore.

E quando avremo vinto, perché vinceremo, l’Italia sarà lì a farsi ammirare: si riempiranno le piazze, i monumenti si faranno i selfie con i turisti, il mare sarà pieno di aquiloni che volano e palloni che rotolano. Le montagne dall’alto si faranno percorrere dagli sciatori mentre osservano tutta quella gioia e le case ormai vuote.

Perché nulla è più forte dell’unità e nessuno si può permettere di fare lo sgambetto ad una nazione che porta ill tacco!

***

Una partita a scala quaranta (di A. Magliano)

Nel paese di Dogliani, capitale delle Langhe sud-occidentali, situata in una conca naturale attorniata da colline della conformazione mai uniforme, vi è un’Associazione di Volontari del Soccorso, acronimo A.V.S, i cui membri, circa trecento, sono sempre pronti ad intervenire su ogni necessità di questione sanitaria che sia un semplice trasporto per visite ospedaliere, o assistenza su casi di emergenza.

Alla presidenza vi è Lella, una mafalda molto alta con quei capelli sempre scompigliati, aiutata dalla segretaria Barbi, che presenta movimenti rudi e abiti tecnici da alpinista.

Quest’ultima è anche un po’ invidiata da Mike, il medico di turno, perché, avendo più tempo libero, può andare spesso in montagna e arriva sempre abbronzata.

Ad aiutare entrambe per organizzare i turni, c’è Kat, sempre ansiosa e preoccupata per tutti.

Mike Galli non è di Dogliani: arriva da un paesino della cintura di Torino, con la sua Panda arancione che con ormai più di 300.000 Km si può dire: “L’è la machin-a dla speransa, a guidala a-iva passiensa, epura chila l’è propri sudisfà!”.

Per ammazzare il tempo, tra un intervento e l’altro, Mike con Sissi India, l’infermiera sorridente che ogni tanto sbaglia i dosaggi dei farmaci, inizia una partita a carte insieme all’autista Curàdu e al barelliere Max, entrambi pelati. Uno fischia con il naso respirando, l’altro è un po’ tondo come Poldo.

Le coppie si sono formate così: Sissi con Curàdu e Max con Mike; c’è da dire che, per scaramanzia, il medico siede sempre sulla sedia verde; inoltre inizia sempre lei a dare le carte e a tenere i conti.

Distribuite le tredici carte, Max inizia a lamentarsi: “Mike…se non ci pensi tu, le mie sono proprio brutte…”; mentre Curàdu rimane impassibile e Sissi, a destra di Mike, sberleffa, prende il jolly, la prima carta scoperta del mazzo e scarta un due di picche.

Max prende una carta dal mazzo e subito la scarta.

È il turno di Curàdu, che subito cala un tris di fanti ed una scala dal tre al sei di cuori.

Mike inizia ad innervosirsi perché non ha nulla in mano per poter scendere, o per lo meno non arriva al totale di quaranta, avendo solo un tris di assi…

 Ma la fortuna vuole che estragga un jolly, così il suo viso si rasserena e scende il tris, uno-due-tre di picche, tris di due Re più il Jolly, attacca due-sette-otto di cuori alla scala e il fante mancante al tris di Curàdu, scarta e chiude con un ghigno di gioia!

Sissi si dispera: “NOOOOO!”; Max sorride soddisfatto e Curàdu: “Varda come ghigna!”.

Ora tocca a Sissi a dare le carte e, mentre le mescola, facendole passare da una mano all’altra, un po’ le cadono sul tavolo, nel raccoglierle, un jolly lo passa in grembo, lei ha l’abitudine di sedere stretta al tavolo tanto che il busto lo tocchi e le braccia facciano un arco su di esso.

Nessuno se ne accorge, eccetto Curàdu che è un furbetto come lei, ed essendo il suo compagno di gioco, ben si guarda da dirlo.

Nel frattempo compare in postazione Obi, Mister Magoo, il pensionato basso, single, quasi calvo, sempre troppo tranquillo, a cui Giusta (nanetta sarda) fa sempre dispetti come fosse sua nipote, che, non sapendo cosa fare a casa, passa a salutare; ed è lui, sebbene non ci veda molto, ad accorgersi che Sissi ha ben quindici carte in mano con due jolly!

Mike è furibonda: “Non è possibile, Sissi!” e le strappa le carte dalle mani, tutti ridono: "Partita a monte!”.

Ed è stata una partita sospesa perché nel mentre è squillato il telefono del 118, il cui suono assomiglia a quello della campanella scolastica, per un intervento, codice: G05Q che significa urgenza non differibile su paziente psichiatrico a scuola. La cosa interessante sta nel fatto che non si tratta di dover recuperare un bambino, bensì il Prof!

***

Un vicino di casa da cui stare lontani (di M. Manfredi)

 

Correva l’anno 2020: era un anno bisesto e qui si voglia dir funesto. Anno difficile da dimenticare, in quanto dovevamo stare chiusi nella nostra dimora.

La bestia nera (invisibile, ma presente) che girava per il nostro bel Paese portava una corona senza essere re e migliaia di persone uccideva. In questa situazione il mio pensiero volava all’uomo che abitava a me vicino. Costui conosceva molto bene le abitudini di tutti e non solo del condominio o della piccola via: il suo sapere andava ben oltre i confini doglianesi, perché era una persona curiosa, ficcanaso e amava dare fastidio a tutti quelli che incontrava.

Di tempo per le chiacchere ne aveva tanto perché non lavorava: il lavoro lo aveva perso proprio a causa del suo vizio di andare a curiosare e fare dispetti.

Vestiva sempre con gli stessi abiti che, a volte, non cambiava per l’intera settimana. Con l’acqua e il sapone non aveva un bel rapporto, anzi penso che ci fosse un odio molto forte: infatti il profumo che lasciava quando passava era intenso e persistente. Aveva un aspetto trasandato, sempre spettinato e si vedeva proprio che non gli interessava la cura della propria persona. Anche in casa c’era lo stesso odore ed era geloso del profumo della biancheria di casa nostra quando era stesa sul balcone.

Non era capace di fare un discorso: quando faceva una domanda subito dopo si rispondeva da solo e si ripeteva domanda e risposta in continuazione senza far parlare l’altra persona.

Incontrava di nascosto l’unica signora che gli dava retta: questa bitava lontano, ma con piacere lui affrontava quella strada che riteneva un pericolo.

Girava, invece, con gran disinvoltura, per le vie del paese con la sua macchina tutto il giorno e con la mano salutava tutti coloro che incontrava, stampandosi sul viso un sorriso nervoso e maleducato.

Quando era più giovane, amava passeggiare con un piccolo cagnolino e andava per i giardinetti a sbirciare le giovani mamme che, dopo aver accompagnato i figli, uscivano dall’ asilo. Secondo me quel tempo lo rimpiangeva perché ora avrebbe potuto utilizzare il cane come scusa per uscire di casa. Sorridendo, mi immaginavo i cani che andavano a nascondersi appena vedevano il loro padrone prendere in mano il guinzaglio perché stanchi di fare tutte quelle passeggiate solo per uscire di casa.

Quando aumentarono le restrizioni, trascorreva le giornate barricato in casa con la porta chiusa a chiave, tutte le tapparelle abbassate e chissà… anche con la luce spenta, in compagnia di paura e ansia diventate ormai le sue uniche amiche: magari si stava trasformando in un licantropo o un vampiro. Ma questa era solo una mia paura.

Il desiderio di farsi gli affari altrui non veniva a mancare nella sua testa: il suo passatempo preferito era diventato spiare quei pochi che ancora passavano nella via e, appena intravvedeva un passante, alzava la tapparella quel tanto da far passare la testa e con il suo vocione urlava: "Vai a casa, cosa ci fai in giro?”.  Il passante lo guardava stupito e proseguiva la sua strada senza dargli retta e scrollando la testa.

Sicuramente gli mancavano i bambini che al pomeriggio giocavano sotto casa; con loro sì che poteva dire la sua perché lo ascoltavano e a volte credevano alle sue sciocche parole, ma io conoscendolo molto bene dicevo loro di non ascoltarlo perché ripeteva solo dicerie.

Si sentiva molto più furbo degli, ma davanti a un piccolo imprevisto si impauriva tantissimo.

Ricordo quella volta che tornai a casa con i miei genitori e lo trovammo nella tromba delle scale spaventato e con un bastone in mano che urlava: "Aiuto!!!! U lè mat 's gat! U sufìa e u morda! Portlu via da sì!”. Stava cercando di prendere il nostro gatto che, per sbaglio era finito per le scale di casa; il piccolo animale sentendosi minacciato voleva solo difendersi.

Beati gli altri uomini che in quel periodo non sentivano le sue dicerie, la sua voce che sembrava una cantilena e non subivano i suoi lamenti continui sul vento, sulla situazione, sul caldo, sul freddo, sul tempo…

***

Il mio amìs Michel (di L. Gambera)

Un trifulau di nome Pasqual rimase senza cane da tartufo, in quanto il buon vecchio Lacky pensò bene di passare a miglior vita.

Pasqual si mise a cercare il sostituto e lo fece per colline e per monti. Dopo tanto girovagare, ne trovò uno,

consigliato dal suo giovane amico e collega Michel in un paese a trecento chilometri di distanza.

Trecento son sempre trecento... ma a sentire il buon Michel, bravo e bello come quello, in giro non ne avrebbe trovato mai.

Così Pasqual, armatosi di coraggio e tanta buona volontà, prese e partì per andare a ritirare il nuovo bel cagnolino. Tre ore di macchina per andare, una per provarlo e trattare, altre tre per il ritorno e la paura fu sconfitta. Tante ore di viaggio lo furono anche di riflessione, carica e fantasticheria per come sarebbe stato il suo nuovo amico di avventura.

La sua nuova amica si chiama Mimì, bella, con un fisico imponente, piena di energia e di allegria: veramente un bel cane.

Pasqual in tutto il tempo pensò: "Se il tanto bello corrispondesse anche ad altrettanta buona volontà e capacità nella ricerca del tartufo, questa volta il mio amis Michel mi ha proprio dato un buon consiglio".

Arrivato a casa, Pasqual mise la bella Mimì nella recinzione di Lacky e se la guardò pensando a come sarebbe stato bello il momento della prima prova con questo cane.  Il giorno dopo, impaziente, andò subito ad aprire la porta per andare a fare un giro. Appena uscita, la cagnolina fece un paio di corse nel prato e poi puntò dritto verso il pollaio del vicino; dentro il pollaio si scatenò una confusione tale con uno svolazzare e un baccano da non credere. Dopo un paio di minuti, uscì la bella Mimì con in bocca il galletto più bello e come portando un trofeo ritornò a correre nel prato. Pasqual, disperato, non sapeva più cosa fare: preso dalla vergogna, cercava di fermare Mimì imprecando contro non si sa chi, se il cane o il suo amico Michel.

«Il mio gal!», urlava il vicino, accortosi del baccano. "È stato il miocane!", ripeteva Pasqual, fino a quando Mimì decise di fermarsi e posare il suo trofeo.

Dieci minuti di discussione con il vicino servirono per arrivare alla conclusione che lui, Pasqual, il suo amis Michel non deve mai ascoltarlo in quanto tutte le volte o per questa o per quell'altra cosa comunque riesce sempre a metterlo in difficoltà.

Eh, sì: sempre colpa di Michel!

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